Capitolo 20

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“L’acqua è un diritto di base per tutti gli esseri umani: senza acqua non c’è futuro.

L’accesso all’acqua è un obiettivo comune.

Esso è un elemento centrale nel tessuto sociale, economico e politico del paese, del continente, del mondo.

L’acqua è democrazia”.

Con queste parole di Nelson Mandela si apriva il documento più importante che avessimo mai scritto: la richiesta di sovvenzione per il progetto “L’acqua è vita”.

Avevamo presentato un budget per la costruzione di dieci pozzi e a essere onesti dubitavamo fortemente che venisse accolto.

Non perché fosse stato preparato male, anzi. Ma perché l’ente che aveva promosso il bando aveva esplicitamente caldeggiato interventi da realizzare sul territorio. Il Madagascar non ci era mai sembrato così lontano.

E infatti andò male.

Ci hai creduto, vero?

Andò benissimo!

Il 17 maggio uscirono le graduatorie, e il nostro progetto si piazzò al secondo posto come entità del contributo ricevuto. Una sovvenzione di oltre 13 mila €, che sarebbe stata sufficiente a coprire le spese di costruzione di ben sei pozzi.

Naturalmente eravamo al settimo cielo e non vedevamo l’ora di partire.

Però a quel punto una decisione importante si imponeva.

Noi ci eravamo impegnati con il Ministero dell’Acqua del Madagascar a costruire dieci pozzi per quel primo anno, e ci erano già stati segnalati i villaggi rurali della periferia di Tulear più bisognosi.

Villaggi in cui vivevano migliaia di persone in condizioni estreme, che per approvvigionarsi di acqua dovevano fare chilometri ogni giorno fino a un acquitrino o a una buca aperta nel terreno.

Come si faceva a sceglierne solo sei? Quante persone avrebbero dovuto aspettare un altro anno per avere un pozzo nel loro villaggio?

Era fuori discussione, avremmo costruito comunque i dieci pozzi previsti.

La questione era però trovare i fondi per finanziare i quattro non coperti dalla sovvenzione ricevuta.

Davide e Nicole alzarono il telefono e, come un anno prima, chiamarono Pia e Fabio dell’Associazione Cuore di Lucia. I quali, come un anno prima, non li fecero neanche finire di parlare.

«Poche chiacchiere» li interruppe con il suo consueto modo da finto burbero Fabio «quanti soldi vi servono per un pozzo?»

«2.500 €» ribatterono timidamente Davide e Nicole.

«E allora noi ne finanziamo due» sentenziò Fabio facendo esultare di gioia i ragazzi.

E così eravamo a otto pozzi. Ne restavano due ma avevamo diverse cartucce da sparare.

Innanzitutto c’era il Torneo di Calcio a 5 solidale che avremmo organizzato anche quell’estate a Vicenza. L’anno prima ci aveva consentito di raccogliere quasi la cifra necessaria per finanziare un pozzo, ed eravamo fiduciosi che il nono sarebbe potuto uscire da lì.

Ne restava sempre uno, e sarebbe rimasto scoperto fino al 3 ottobre. Data in cui qualcuno decise di finanziarlo in memoria di un caro appena scomparso. Ma questa è un’altra storia.

Quindi era fatta, avremmo costruito i nostri primi dieci pozzi. Che avrebbero portato acqua potabile gratuita e illimitata a circa diecimila persone. Numeri che facevano girare la testa.

Io e Davide partimmo subito in quarta per rendere esecutivo il progetto il prima possibile.

Entro la fine di maggio avevamo già firmato il contratto con il costruttore, la stessa impresa di Tulear che aveva costruito il pozzo all’interno del Villaggio Afaka. I lavori sarebbero iniziati ad agosto, ed entro novembre tutti i dieci pozzi sarebbero stati consegnati alla popolazione. In pochi mesi avremmo cambiato la vita di migliaia di persone, e pure le nostre.

Eravamo in uno stato di grazia che ci faceva credere di poter realizzare qualsiasi impresa. In fondo quella che avevamo appena iniziato a compiere era una delle più ardue, e al tempo stesso entusiasmanti per un essere umano.

Aiutare altri esseri umani più svantaggiati a migliorare drasticamente le proprie vite.

E potevamo riuscirci grazie alla nostra determinazione e al sostegno di tutti coloro che ci erano vicini.

Ancora non immaginavamo però che quel sostegno sarebbe venuto meno, da lì a pochi giorni, proprio da chi pensavamo ci fosse più vicino.

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