Capitolo 19

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La decisione fu semplice.

Le autorità di Tulear ci avevano chiesto di costruire una rete di 50 pozzi per portare acqua potabile a 100.000 abitanti dei villaggi più disagiati della periferia.

Noi non avevamo alcuna esperienza, a parte il pozzo appena costruito all’interno della nostra scuola.

Non sapevamo neanche come e dove poter raccogliere i fondi necessari per 50 pozzi, già avevamo fatto fatica a trovarne per uno.

Di più. Né io, né Davide, né nessun altro di noi aveva il tempo materiale di seguire un progetto del genere, oltre alle attività che già svolgevamo all’interno dell’associazione.

E quindi, ovviamente, accettammo!

Anche perché, proprio in quei decisivi giorni, si era presentata un’opportunità importante.

Una società di gestione idrica del vicentino aveva lanciato un bando per finanziare progetti legati all’acqua.

La call era aperta a tutti ma con un focus prioritario sugli interventi da realizzare sul territorio.

Tuttavia nulla ci vietava di provarci.

Attivammo subito la macchina lato Madagascar.

Come prima cosa, comunicammo alle autorità di Tulear e al Ministero dell’Acqua la nostra disponibilità ad accogliere la richiesta e a impegnarci per la costruzione di un primo blocco di 10 pozzi nei villaggi che ci avrebbero indicato come prioritari.

Poi chiedemmo al costruttore che aveva realizzato il pozzo all’interno del Villaggio Afaka un preventivo per l’intero progetto. Quello fu il nostro primo errore, ma all’epoca non avevamo altri riferimenti e i tempi per la presentazione del bando stringevano.

Nel frattempo, io e Davide lavorammo fianco a fianco per preparare la domanda per il progetto “L’acqua è vita”, che presentammo a inizio aprile con una richiesta di contributo complessivo di oltre 20 mila €.

E poche speranze di ottenerlo.

Tra tutte queste attività fu un periodo molto intenso, anche perché Davide aveva pensato bene di lanciare un’altra bomba.

«È da un po’ di tempo che ho l’idea di costituire un tour operator per organizzare viaggi solidali in Madagascar, e secondo me è il momento giusto».

Partiamo dal presupposto che sia io che Davide avevamo già un lavoro “normale” che ci occupava parecchio tempo.

Che oltre a questo ci eravamo presi un grande impegno con l’associazione, con attività che richiedevano a entrambi di sacrificare buona parte del nostro già poco tempo libero.

Che, come se non bastasse, avevamo deliberatamente scelto di imbarcarci in un progetto enorme quale quello della costruzione di pozzi.

E in tutto questo Davide mi proponeva di creare un tour operator.

Da zero.

Senza che nessuno dei due avesse la minima esperienza nel settore viaggi.

No, non era affatto il momento giusto.

E ovviamente io gli risposi:

«Idea fighissima! Se cerchi un socio conta pure su di me!»

E fu così che a metà aprile, qualche giorno dopo aver presentato la domanda per il progetto “L’acqua è vita”, fondammo Namatours.

Ma questa è un’altra storia.

Una storia che ci è un po’ sfuggita di mano, diventando in fretta molto più grande di quanto osassimo anche solo immaginare due anni fa.

Stesso discorso vale per i pozzi.

Ad aprile 2018 presentammo un progetto che prevedeva di costruirne 10, anche se non eravamo affatto confidenti di riuscire a farcela.

Mentre scrivo queste righe, esattamente due anni dopo, gli operai dell’impresa di costruzioni a Tulear stanno costruendo il nostro ventunesimo pozzo. I venti già costruiti tra il 2018 e il 2019 oggi funzionano perfettamente e garantiscono accesso gratuito e illimitato all’acqua potabile a 28 mila abitanti di diversi villaggi rurali della periferia della città.

Bambini, donne e uomini che fino a qualche mese fa erano costretti a percorrere ogni giorno chilometri a piedi con le taniche sulla testa per approvvigionarsi d’acqua alla fonte più vicina. A riempire le taniche con quella che spesso è più che altro melma proveniente dalle pozzanghere o da buche scavate nel terreno.

A far poi bollire questa acqua putrida bruciando carbone e legna, e quindi inquinando l’aria.

Insomma, la faccio breve, in due anni posso dire che abbiamo cambiato drasticamente la vita di queste 28 mila persone.

E che abbiamo cambiato anche le nostre vite.

Ma non corriamo troppo avanti.

Torniamo a quell’aprile del 2018.

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